Un racconto che descrive una improbabile storia di degrado sociale veramente estremo, un racconto crudo scovato dalla rete che voglio proporre.
Mi sembra vecchia, ora.
Non la pensavo così fino a cinque minuti fa, quando le ansimavo sopra possedendola selvaggiamente.
La guardo rivestirsi. Solo ora che il testosterone si è abbassato noto la piccole rughe intorno al seno, improvvisamente flaccido e cadente. Prima era solo una quinta misura piena e non mi importava altro che stringerle e strizzarle tra le mani. Lei sorride.
“Ehi piccolo, vuoi farti un altro giro?”
Muovo appena la testa. Intanto un corvo nero come la pece, si è posato sul davanzale e ruota l’occhio giallo verso di noi. Io abbandonato sul letto.
Lenzuola sfatte, sudate e umide.
Lei si tocca le aureole dei seni arrossate.
“Ti sono piaciute le tette della mamma eh? Accidenti come me le hai succhiate”
In realtà le ho fatto ben di più a quelle tette che succhiarle. Il mio amico là sotto, che ora penzola sattollo e molliccio su un lato, ci ha sguazzato a lungo lì in mezzo.
“Erano anni che te lo volevo fare”
“Succhiarle?”
“Scopartele”
Ride: “Beh, ci sei riuscito, ora, no?”
“Sì”. Le penzolano bianche e inerti nel vuoto ora, mentre si china in avanti per raccogliere le mutande. I capezzoli viola erti come due ciucci.
Ciucciarle e strofinarci il membro sopra: Il sacro e il profano.
Il reggiseno penzola sulla sedia accanto al letto dove l’ho tirato poco fa, quando gliel’ho strappato di dosso, pazzo di mammelle proibite. Tra poco mi nasconderà il seno.
Gli slip salgono sulla coscia e sul ventre fino a coprire lo scrigno oscuro dove poco fa ho finalmente consumato il mio incesto. L’ultima fonte del nostro peccato sarà coperta, celata, nascosta. La puttana sta evaporando. Torna la madre.
Le allungo del denaro sopra la coperta.
Sono stanco. Occhi spenti e viso sgualcito sul cuscino.
“Sono tanti, piccolo. Per quelli te lo faccio fare ancora“.
Gliel’ho messo in bocca e me lo sono fatto succhiare. L’ho fatta mettere carponi e costretta ad un rapporto anale. Mi sono messo le sue gambe in spalla e l’ho scopata fino a esploderle dentro tre volte. Non so proprio come faccia a parlare così.
“No mamma, basta”
Conta il denaro, e lo ripone nella lacera borsetta di plastica, squallida imitazione di marchio famoso. Gamba sulla sedia, il nylon delle calze sulla pelle. La gran massa del seno le tremola come gelatina. Si guarda tra le gambe.
“Mi hai leccato la sorca”
Troppo stanco per rispondere. Guardo gli ultimi raggi del sole spegnersi nel cielo.
“Non lo fare mai più. Sono una puttana. Non si lecca mai la sorca di una mignotta. Hai capito?”
Strofino la barba ispida sul cuscino. Le raccomandazioni di una madre puttana.
“Non sei solo una mignotta, per me sei prima di tutto la mamma”.
Silenzio. Si schiarisce la voce due volte, poi rinuncia. Una mano lieve mi carezza il sedere.
“beh, chiamami se lo vuoi fare ancora. Non voglio niente”
L’uscio che si chiude, poi più nulla.
Sono solo. Anche il corvo è volato via. Lascio che la stanchezza abbia la meglio e lentamente scivolo in un sonno obliatore.