Lame luminose penetravano il buio della camera. La luce giallognola del lampione di fronte illuminava il loro sonno.
Quella luce era la sua sicurezza, come quella che, da bambina, l’aveva protetta da mostri e uomini cattivi e che le aveva fatto compagnia.
Ancora ora, che ormai era una donna e che ogni notte si abbandonava sicura tra le braccia dell’uomo che l’amava, ancora ora, quella luce esterna era la conferma di uno stato di sicurezza.

E così non ebbe paura quando, nel cuore della notte, sentì un braccio pesare sul suo fianco. A quello stimolo la sua mente aprì uno spiraglio; il tempo necessario per rendersi conto che non c’era pericolo e subito ricadde nell’incoscienza.
Qualcosa si stava sollevando e la sentiva scivolare, lentamente. La sensazione di un movimento, di qualcosa che stava capitando, forse lì o altrove.

Immersa com’era nel sonno non poteva distinguere i contorni delle cose e degli avvenimenti, la realtà era il regno dell’onirico, nel quale lei era al contempo protagonista e spettatrice.
Si mosse nella semi coscienza con la percezione di qualcosa di pesante. Un punto di luce colpì il suo occhio, che si era aperto nel movimento. Emise un mugugno.
Un calore le stava scaldando il centro del corpo e da qui un flusso si stava irradiando verso il cuore. Vide un fuoco e accanto al fuoco lei e un’altra figura.
I due sembravano contenti…

Qualcosa le sfiorò il collo e istintivamente alzò la mano per cacciare chissà quale animale che si era posato su di lei. Sentì qualcosa di tondo, toccò meglio, dei peli… cercò di girarsi di colpo verso la bestia, ma era rallentata dalla solita pesantezza. Tastò ancora con la mano, una punta, qualcosa di morbido, dei contorni… e allora realizzò. Sentì il suo seno nella mano di lui e lei vi appoggiò sopra la sua, per istinto.

Non era presente alla realtà, ma era lo stesso consapevole di ciò che stava accadendo. Non aveva alcuna bestia pericolosa su di sé, era il suo uomo che la esplorava nel cuore della notte.
“Ha voglia”, le disse la voce della sua coscienza assopita. Mugugnò di nuovo e si mise supina e lo lasciò fare, sicura di non avere nulla da temere.

Sentì la sua pelle ruvida sfiorarle la guancia e poi le labbra di lui cercare le sue. Le schiuse e attese. Le palpebre pesanti si sollevarono di poco e i suoi occhi videro le lame di luce tagliare parte del buio. Tutto era tranquillo, nessun rumore, alcun timore. Abbandonata nelle mani del suo amato, così era e così sapeva di essere anche durante il torpore del sonno. E sentiva che lui la voleva e si doleva di non riuscire a svegliarsi totalmente. Le sue membra erano così pesanti e stanche e lui era così delicato da lasciarla sospesa tra sonno e veglia.

Sentì le labbra bagnarsi, la lingua di lui le sfiorava appena, inumidendole con la saliva. Leccò la goccia che sentì colare in un angolo della bocca e lì incontrò la lingua di lui e in quello stesso momento sentì la sua mano che avvolgeva il monte di Venere e giocava con i peli.
Riuscì ad aprire gli occhi e si sforzò di metterlo a fuoco, ma il buio era ancora troppo fitto per distinguere i dettagli. Emise un sospiro e con un filo di voce disse: “amore”.
Sentì come un sibilo, proveniva da lui. Poi un insieme di movimenti, il corpo di lui si spostò, sentì le mani posarsi sui suoi fianchi e tirare.
Istintivamente sollevò il bacino. Lui le tolse gli slip, scorrendo lungo le cosce, poi risalì e le accarezzò l’interno con la mano.
Il suo membro duro e caldo era appoggiato al suo fianco, mentre le succhiava un seno. La sua mano esplorava la sua intimità.
“Amore”, ripeté, staccandosi definitivamente da Morfeo per abbandonarsi a colui il quale l’aveva strappata dal regno dell’onirico, per dare e prendere piacere.

Allungò la mano e afferrò il suo fallo, che vibrò. Poi gli afferrò i capelli e tirò. Cercò avidamente la sua bocca e la baciò. Si girò un poco verso di lui sollevando una gamba, subito sentì le sue dita entrare nella fessura umida. Si contrasse e gemette. E poi fuori e poi ancora dentro e si stava bagnando sempre più. Fece scorrere la mano sul membro eretto. Già colava.

Sì sentì afferrare il polso e strappare via il braccio. E la bocca di lui che la inchiodò al piacere. Le mancò il respiro. Si sentì girare con forza e si ritrovò prona, con il peso di lui sopra. Sentì le natiche aprirsi e un dito penetrare nel luogo proibito. Gemette e si contorse. Bloccata da lui non poteva e non voleva fuggire.

Dei morsi sul sedere. Di colpo sollevò il bacino, come per proteggersi e proteggendosi si esponeva. Glielo dava tutto, il suo sesso, tutto ciò che desiderava. Poteva fare di lei ciò che voleva, era sua, completamente liberata dalle sue mani grandi che l’aprivano.

Il respiro spezzato e tutto che colava. Non poteva resistere a quel piacere.
Puntò un ginocchio e cercò di sollevarsi un poco. Le sue mani la possedevano.
Gridò, quando si sentì stringere il clito alla base e scalciò. Lui la trattenne forte.

“No no!”, implorò. E poi ancora le sue dita dentro la fessura. Davanti e dietro. E gli umori che colavano abbondanti, dentro e fuori di lei. E ancora gemiti e ancora quella falsa e vera implorazione: “No… no, no!”. E il tentativo di liberarsi dallo sconvolgimento dell’esplosione.
Ma lui la possedeva e la penetrava. Non poteva fuggire, non voleva fuggire.

Le sue mani bagnate la bagnavano, ancora e ancora. E non resisteva più. E la tensione la sovrastava e la oltrepassava, la dilatava e la penetrava, la dominava e la soggiogava. Il respiro corto, la bocca completamente aperta come il suo sesso e lacrime di piacere riempivano i suoi occhi.

E ancora lui, dentro e fuori, scivolava tra le labbra e poi ancora, dentro le aperture aperte. E il sangue che risaliva dal basso, veloce e ancora più veloce e senza respiro si contrasse ancora. Era lì, era lì, pronto per esplodere. Poi uno schiocco e un bruciore forte al sedere. Urlò. Poi ancora un colpo e ancora un bruciore. “No no!”.

Gemette. Si sentì stringere forte i fianchi e si inarcò di colpo.

Poi, un piacere intenso e abbondante allagò la notte.

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